Immaginate di naufragare d’inverno, nel cuore della notte, nelle acque gelide e spaventose dell’Atlantico. Quanto resistereste, vi state chiedendo? La scienza ha dimostrato che in queste condizioni si sopravvive non più di una manciata di minuti. Ma poi ha conosciuto Gulli…
La notte dell’11 marzo 1984 era una notte come tante altre, alle Isole Vestmann. Il termometro segnava una temperatura di -2°C e la cittadina di Heimaey era, come al solito, accarezzata da dolci ma continue raffiche di vento. La capitaneria di porto prevedeva per la notte mare forza 10, anche se al momento le condizioni erano buone. Il cielo era limpido, il mare calmo. In ogni caso per i pescatori islandesi non esiste – o quasi – una buona ragione per tirarsi indietro, per evitare di fare ciò che è necessario fare da secoli, ovvero salire sul peschereccio e affrontare la Natura all’ennesima potenza: il mare, con tutte le sue insidie, nel cuore della notte. L’ignoto per eccellenza.
L’imbarcazione Hellisey VE-503 lascia il porto in tarda serata. Heimaey e suoi abitanti hanno ancora le ferite della terribile eruzione del 1973, che costrinse i suoi quasi 5.000 abitanti a un’evacuazione di massa verso Reykjavik, lasciando in eredità nel territorio un cono vulcanico alto 220m, l’Eldfell, monumento geologico, come testimone del fatto che l’esistenza, in questa terra, può essere improvvisamente minata da uno squarcio lungo 1.600 metri nel terreno, dal quale fuoriesce lava incandescente. E non c’è nulla da fare. Nella mia guida l’ho chiamata La Pompei del Nord. Ma sono passati 11 anni e ormai gli abitanti sono tutti tornati alla loro vita e l’eruzione è solo un pessimo ricordo.
L’equipaggio della Hellisey è formato da 5 persone, tra cui Guðlaugur, un ragazzotto di 23 anni piuttosto corpulento (125 kg), i capelli riccioluti dai riflessi rossastri e un viso da uomo buono. Gulli, come lo chiamano i compagni di ciurma, è riservato, sembra timido, ma ha sfidato diverse volte il mare e la notte.
E’ passata qualche ora di navigazione. Il peschereccio si è lasciato alle spalle le luci di Heimaey, inoltrandosi nel buio pece dell’Atlantico. Ad un tratto una botta improvvisa, il fragore di uno scontro. L’imbarcazione si inclina da un lato, iniziando a imbarcare acqua. Non c’è nemmeno il tempo di capire che cosa sia accaduto (si scoprirà più avanti che l’imbarcazione si era incagliata sui fondali vulcanici) che la Hellisey si ribalta e affonda. Accade tutto nel giro di pochi minuti. Uno dei membri rimane intrappolato, morendo annegato, mentre gli altri 4, tra cui Gulli, si trovano in acqua. Nel buio della notte. Temperatura dell’acqua: 5°C. Senza la possibilità di chiedere aiuto. Senza una scialuppa o qualcosa a cui aggrapparsi per resistere. Un tempo, i vecchi pescherecci, non avevano lo sganciamento automatico e nemmeno l’sos automatico, perciò non c’era stato il tempo né di sganciare la scialuppa manualmente e nemmeno di chiedere aiuto. Solo una colonia di uccelli sopra di loro che strappavano l’orizzonte, un telo nero tetro, in attesa – nemmeno troppo lunga, visto che a queste temperature e in queste condizioni si sopravvive non più di una manciata di minuti – che il loro corpo diventasse prelibato mangime.
Due membri dopo pochi minuti abbandonano la battaglia e si lasciano andare, probabilmente uccisi dall’ipotermia. Rimangono Gulli e il capitano. Provano a sganciare la scialuppa dall’imbarcazione ormai affondata, immergendosi e raggiungendo la barca affondante, ma niente da fare. Non resta altro da fare che nuotare, puntando il faro che si vede in lontananza. Arrivarci però è impossibile. Sono più di 5 km e l’autonomia a livello biologico è di altri 10 minuti, al massimo.
Il capitano muore, lasciando Gulli battagliare solo contro la Natura, da mezz’ora in acqua gelida, a 6 km dalla riva, che poi, tra l’altro, non si capisce nemmeno dove sia di preciso. Il silenzio è un frastuono di guerra, in tutta questa solitudine assoluta. Il corpo ondeggia, in preda alla forza e al volere delle correnti e la terra ferma sembra a tratti sempre più lontana. Gulli è l’islandese che dialoga con la Natura nell’operetta morale di Giacomo Leopardi. Parla coi gabbiani, gli chiede scusa per tutte le volte che non li ha considerati o gli ha fatto del male. Delira, parla di debiti e debitori, promette che al ritorno si sarebbe comportato meglio con tutti, non avrebbe più bevuto il latte direttamente dalla bottiglia, cosa che faceva infuriare la madre, e altri discorsi tipici di chi si trova nel bel mezzo di un delirium.
Così per 6 ore. Un’eternità inspiegabile. 6 ore in balia dell’oceano, in pieno inverno, vestito con un paio di jeans e una camicia, senza nemmeno gli stivali, fino a che la corrente non lo ha aiutato a raggiungere la riva. Ma la dura legge della Natura da queste parti non finisce quando inizia la terra ferma, che in Islanda è una tagliente colata lavica da attraversare scalzi. Gulli, dopo 6 ore in acqua a 5 gradi, 4 compagni visti morire, affronta quasi 4 km di camminata sulla pietra lavica, tagliente come coltelli, scalzo, con una temperatura di -2°C, prima di giungere alla prima abitazione e chiedere aiuto e salvarsi.
La notizia del suo salvataggio fu qualcosa di incredibile che scosse la comunità scientifica internazionale, tanto che spinse scienziati di tutto il mondo a interessarsi al caso. Come era possibile che un uomo si fosse salvato in quelle condizioni? Alcuni scienziati londinesi fecero degli esperimenti, testando la resistenza di Gulli e di altri soggetti, alcuni dei quali atleti e soldati abituati a resistere in condizioni più che estreme. Ma nulla, nessuno di loro – alle medesime condizioni della notte dell’11 marzo del 1984 – resisteva più di 30-40 minuti. Gulli aveva qualcosa di speciale; e lo dimostrava il fatto che, appena portato in ospedale la prima volta dopo il naufragio, la sua temperatura corporea era di 34°C, di poco sotto quella ottimale. Tutto quel tempo in mare e non c’erano nemmeno i segni di una pesante ipotermia.
Lo studiarono, a tratti come se si trattasse di un animale da zoo (lo stesso dichiarò in diverse interviste che si era stancato di essere trattato come cavia umana) e le conclusioni alle quali arrivano gli scienziati erano che questo ragazzotto dall’aria tutt’altro che eroica ma dagli effettivi superpoteri, aveva una conformazione corporea simile a quella delle foche, caratterizzata da un importante strato di grasso, più compatto del grasso umano e tre volte più spesso, a proteggere gli organi interni e a garantire al corpo una temperatura ottimale, anche alle condizioni più estreme. Esattamente come funziona l’organismo delle foche, motivo per cui in patria i media lo chiamarono l’uomo-foca.
In realtà, oltre alla spiegazione del grasso, il suo caso non portò ad altre conclusioni scientifiche e ancora oggi, la storia di Gulli, rimane un grande mistero. Tanto che nel 2012, il grande regista islandese Baltasar Kormákur (autore di 101 Reykjavík, tra i film fondamentali per capire la società islandese che ho consigliato in questo articolo) decise di dedicare a questa storia famosissima in patria il film Djúpið (The Deep), che potrete vedere doppiato in lingua italiana su Prime Video.
Parlare con gli uccelli per ore, aggrapparsi alla vita, la voglia di chiedere scusa alla mamma per quella brutta abitudine di bere il latte dalla bottiglia anziché dal bicchiere, avere l’opportunità di un giorno in più, uno soltanto, una seconda possibilità di essere migliori e dimostrarlo, quanto tutto ciò ha influito sulla sopravvivenza? Cose del genere, apparentemente insignificanti, sono talmente forti da salvare un uomo dal buio dell’Atlantico. Dall’ignoto per eccellenza. Questo ci insegna l’incredibile storia di Gulli, il ragazzo gentile delle Vestmannaeyjar che vinse la sfida contro la Natura.
Camminando per Heimaey potreste imbattervi in uno strano monumento: una vasca, segnalata da un pannello informativo. Si tratta di Guðlaugssund, il monumento dedicato all’impresa di Guðlaugur Friðþórsson. E che c’entra la vasca? Quella notte Gulli si salvò dalla disidratazione bevendo l’acqua semi-congelata trovata in una vasca lungo il campo di lava, utilizzata da cavalli e pecore per abbeverarsi. Dal 1985 si tiene l’evento Guðlaugssundið (la nuotata di Guðlaugur), una nuotata presso la piscina pubblica di Heimaey per onorare l’impresa di Gulli e ricordare gli uomini che hanno perso la vita in mare nel corso della storia, in Islanda moltissimi.
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